LA GRANDE BOUFFE

Uno sguardo altro sull'Ultima cena (2008)

Con La Grande Bouffe, Claudio Cravero rilegge l’Ultima Cena trasformandola in una scena sospesa, dove l’assenza parla più della presenza. Non ci sono più i corpi dei commensali: restano tredici piatti, uguali eppure diversi, uno che si distingue come un “Giuda invisibile”. Ogni oggetto, muto e quotidiano, racconta il dramma del tradimento senza bisogno di figure.

Il coltello conficcato nel pane diventa epifania del gesto: simbolo della violenza, della fragilità, della tensione che vibra nell’attimo non mostrato ma solo suggerito. È un silenzio che grida, come nelle tele di Francis Bacon o nelle nature morte di Chardin reinterpretate al presente. La luce, intensa e direzionale, plasma gli oggetti con profondità caravaggesca, alternando chiaroscuri che trasformano bicchieri, posate e pane in attori di un dramma collettivo.

Accanto, il fiore isolato e il pitale inserito nel dittico segno di diversità, dubbio e rottura incrinano la perfezione della tavola, introducendo uno straniamento che costringe lo spettatore a interrogarsi. L’opera diventa così non soltanto fotografia, ma racconto di memoria: ci ricorda che l’Ultima Cena, da Leonardo in poi, è stata molto più di un’immagine religiosa, mito visivo, icona culturale, spettacolo del potere e della fede.

In La Grande Bouffe, la fotografia si fa quadro, la tavola diventa palcoscenico e lo spettatore si scopre partecipe. È un ponte tra passato e presente, tra sacro e profano, tra tradizione e sensibilità contemporanea. Un’opera che invita a meditare sul potere dell’immagine che parla senza voce, sull’eterno ritorno del dubbio e del tradimento, e sulla bellezza fragile che resiste al tempo